30 settembre 2012

Costruzione muscolare e dimagrimento: siero VS caseine

di Jerry Brainum

Poiché è chiaro che la caseina e il siero possiedono proprietà opposte riguardo all’assorbimento e alla digestione – lente contro veloci – potete capire bene la saggezza della natura nell’includerle entrambe nel latte. Il risultato è un potente effetto di stimolo alla crescita che, ovviamente, rende il latte intero il migliore alimento per il periodo di crescita più rapida di tutta l’esistenza dell’uomo: subito dopo la nascita. (Alcuni bodybuilder avrebbero probabilmente da ridire sull’ultimo punto...). La domanda a questo punto sorge spontanea: quale proteina contribuisce maggiormente al potenziamento dell’anabolismo muscolare ed al dimagrimento? Uno studio che ha coinvolto ufficiali di polizia sovrappeso offre alcuni indizi stuzzicanti (1 ).

Lo studio è stata una valutazione randomizzata in 12 settimane degli effetti di siero e caseina sulla composizione corporea dei poliziotti messi a dieta – e non è stato sponsorizzato da un produttore di integratori proteici o da una catena di pasticcerie.

Tutti e 38 i soggetti hanno seguito diete che soddisfacevano circa l’80% del loro fabbisogno energetico stimato. Un gruppo ha semplicemente seguito la dieta, non facendo alcun tipo di allenamento e non usando integratori proteici in aggiunta. Un secondo gruppo ha ricevuto il medesimo totale di nutrienti – l’80% del loro fabbisogno stimato – e si è impegnato in una tabella di allenamento con i pesi. Hanno pure assunto 1,5 g di proteine per chilogrammo di peso corporeo ogni giorno, con un integratore proteico basato sulla caseina che costituiva il 25% del quantitativo loro necessario, ossia dai 70 ai 75 g di proteine. L’ultimo gruppo di soggetti ha seguito le medesime procedure del secondo gruppo, ma invece della caseina hanno usato un integratore con proteine del siero idrolizzate. Entrambi gli integratori proteici sono in commercio e non erano stati formulati appositamente per lo studio. I soggetti hanno assunto gli integratori a distanza di 8-10 ore, consumandone una porzione subito dopo l’allenamento. Tutti i soggetti (che non facessero parte del gruppo 1) si sono allenati quattro giorni la settimana.
Coloro che erano nel gruppo 2, il gruppo che prendeva la caseina e si allenava, hanno mostrato una riduzione della percentuale di grasso corporeo da una media del 26% al 18%, con un aumento di massa magra pari a 1,4 kg.
Ecco i risultati: I soggetti del gruppo 1 hanno perso 2,5 kg di peso, tutto rappresentato da grasso; però non hanno neanche avuto un qualche aumento di massa, cosa non sorprendente, visto che non si allenavano. Coloro che erano nel gruppo 2, il gruppo che prendeva la caseina e si allenava, hanno mostrato una riduzione della percentuale di grasso corporeo da una media del 26% al 18%, con un aumento di massa magra pari a 1,4 kg. La conclusione più interessante è stata che al confronto con il gruppo che assumeva il siero del latte e si allenava, i soggetti che usavano la caseina hanno raddoppiato gli incrementi della massa magra e hanno presentato una riduzione dell’adipe del 50% in più! Hanno anche mostrato maggiori risultati nell’incremento della forza, con un miglioramento massimo del 59% negli esercizi testati in confronto a quelli del gruppo che assumeva il siero del latte.

I ricercatori spiegano tali risultati notando che la caseina sembra possedere effetti di modulazione ormonale più potenti e indica sia un aumento della sintesi delle proteine muscolari sia effetti anticatabolici. Sottolineano pure che entrambi gli integratori proteici impiegati nello studio erano idrolizzati, ossia fonti proteiche parzialmente digerite e concentrate. Questo è significativo perché studi passati indicano che i pasti con le proteine apportate dagli alimenti interi promuovono il rilascio del cortisolo, un potente steroide catabolico (2).

Quello che ha spinto alla pubblicazione dello studio è stato uno studio precedente condotto dai medesimi ricercatori su ustionati (3). Gli ustionati presentano intese perdite proteiche dovute al catabolismo e lo studio precedente si concentrava sugli effetti in seguito alla somministrazione o di un integratore con caseina o con siero del latte, entrambi in commercio. I soggetti che avevano assunto l’integratore con caseina aumentavano la massa magra del doppio rispetto a coloro che prendevano l’integratore con il siero del latte. Quindi, secondo questo studio più recente, la caseina è superiore al siero del latte nella promozione di cambiamenti favorevoli collegati agli incrementi muscolari e al dimagrimento.

L’effetto sembra essere dovuto alle proprietà di lenta azione della caseina, insieme a specifici peptidi attivi che contiene; in ogni caso, il migliore integratore proteico sarebbe sempre quello che segue il programma stabilito dalla natura per la promozione della massima salute e della massima crescita e comprenderebbe sia la caseina sia il siero del latte. 

Bibliografia

1 Demling, R. et. al. (2000). Effect of a hypocaloric diet, increased protein intake and resistance training on lean mass gain and fat mass loss in overweight police officers. Annals of Nutrition and Metabolism. 44:21-29

2 Slag, M. et al. (1981). Meal stimulation of cortisol secretion: a protein-induced effect. Metabolism. 30:1104-1108.

3 Demling, R., et al. (1998). Increased protein intake during the recovery phase after severe burns increases bodyweight

Articolo tratto da “Applied Metabolics Volume 3“, pubblicato in Italia da Sandro Ciccarelli Editore. Tutti i diritti riservati.

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28 settembre 2012

Il ribosio per il recupero muscolare

di Jerry Brainum

Tutte le fonti energetiche alimentari, che siano derivate dai carboidrati, dalle proteine o dai grassi, subiscono, una volta all’interno dell’organismo,  una serie di reazioni cellulari per cui, in ultima analisi, vengono trasformate in adenosin trifosfato (ATP). L’ATP è la più fondamentale tra le forme d’energia e, in quanto tale, l’organismo cerca di riciclarla nel modo più efficiente possibile. Per esempio, l’ATP libera energia quando viene rilasciata la porzione fosfata della struttura dell’ATP.

L’ATP diventa adenosin difosfato, fino al momento in cui si aggiunge un altro gruppo fosfato. Questo gruppo fosfato viene generalmente donato dalla fosfocreatina contenuta nei muscoli, spiegazione del motivo per cui si ritiene che la creatina sia ergogena. Anche il cosiddetto materiale da costruzione dell’ATP, i ben noti nucleotidi dell’adenina, deve essere rimesso in circolazione.

L’organismo ha un sistema tutto suo per fare questo, conosciuto con il termine di “riconversione dei nucleotidi dell’adenina”. Questo sistema opera riconvertendo la parte purinica dell’ATP (adenina e ipoxantina). Tuttavia esso non è molto efficiente in condizioni di sforzo dovuto ad un allenamento ad alta intensità. In simili condizioni, gran parte dei nucleotidi dell’adenina finiscono per essere escreti dal corpo e, in questo caso, la sintesi dell’ATP non è completa, dando luogo a sistemi energetici inefficienti.

In uno studio ad opera di scienziati dell’Università del Missouri, che aveva come soggetti dei topi, gli studiosi mostrarono come il sistema più efficace per intensificare la riconversione dei nucleotidi dell’adenina consistesse nel fornire al limitato materiale da costruzione uno zucchero presente un po’ dappertutto nell’organismo, il cosiddetto ribosio. La ricerca mise alla luce che l’aggiunta di ribosio permetteva di aumentare di ben 6 volte la riconversione dei nucleotidi tramite la maggiore attività di un enzima noto con il nome di 5-fosforibosil-ribosio, che ha bisogno del ribosio per funzionare. Questo aumento del processo di riconversione risultò particolarmente intenso nelle fibre muscolari a contrazione veloce, come quelle interessate nell’allenamento con i pesi. Questo maggiore effetto di riconversione si verificò anche nelle fibre a contrazione lenta, ovvero aerobiche, seppure in minor grado (3-4 volte).

Questo studio ci ha quindi permesso di scoprire che i tassi di riconversione dei nucleotidi sono diversi a seconda del tipo di fibra muscolare e che il fattore limitante è l’integrazione di ribosio. Sotto il profilo pratico, questo significa che l’integrazione di ribosio dovrebbe aumentare la sintesi dell’ATP che, a sua volta, velocizzerebbe il recupero muscolare soprattutto dopo un allenamento intenso.

Il dosaggio consigliato per gli atleti va da 2 a 5 grammi di ribosio al giorno, fino ad un massimo di 10 g per allenamenti estremamente pesanti o per quelli di atleti di elìte.

Articolo tratto da “Applied Metabolics Volume 3“, pubblicato in Italia da Sandro Ciccarelli Editore. Tutti i diritti riservati.

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26 settembre 2012

Proteine del siero VS Caseine


di Marianne Karinch


Le battaglie di marketing con sfumature scientifiche complicano la discussione sul siero e sulla caseina nel mondo dei prodotti per lo sport. Tanto per cominciare, nel libro Contemporary Nutrition: Issues and Insights (Wardlaw 2000), nel glossario intitolato “Terminologia medica per aiutare nello studio dell’alimentazione”, troviamo le seguenti definizioni per il siero del latte e per la caseina:


Siero del latte: proteine come le lattoalbumine che si trovano in grosse quantità nel latte umano e sono di facile digestione.


Caseina: proteina presente nel latte che forma il caglio quando è esposta ad un acido ed è di difficile digestione per i bambini. La caseina non è la stessa cosa del caseinato, la fonte proteica che si trova spesso nei prodotti per l’incremento della performance. I caseinati possiedono alcune proprietà diverse dalla caseina.


Prima di approfondire l’argomento sulla caseina ed il siero del latte, consideriamo che la fonte commerciale di entrambe – il latte di mucca – è tra il 20 ed il 40% costituito da proteine, con il latte scremato che possiede un contenuto proteico maggiore del latte intero. La percentuale di carboidrati nel latte di mucca varia dal 30% per quello intero al 50% per quello scremato.


LA CASEINA rappresenta circa l’80% delle proteine del latte di mucca. I prodotti a base di caseina sono ricavati dal latte scremato ma i processi sono leggermente diversi a seconda del tipo di caseina che si va a produrre. La caseina che finisce nei caseinati è caseina dell’acido lattico. Neutralizzare la caseina con un qualche tipo di sale rende un caseinato un caseinato di sodio, un caseinato di calcio o un caseinato di potassio. Il prodotto che si ritrova maggiormente negli alimenti per il potenziamento della performance è il caseinato di calcio. Il caseinato di calcio possiede le seguenti caratteristiche:


• È solubile in acqua.


• È ricco di glutamina, un importante aminoacido che mantiene la massa muscolare magra.


• Viene digerito più lentamente delle fonti proteiche a base di siero del latte o di soia presenti negli alimenti progettati per gli atleti.


• In termini tecnici, è privo di lattosio, ma questo non significa che una persona con allergia alle proteine non vi sviluppi una reazione. Inoltre non significa che non sia un latticino nel senso più rigido inteso dalla cucina kosher o vegan.


IL SIERO DOLCE DEL LATTE invece è un sottoprodotto acquoso della produzione di formaggio. È scremato dopo che il processo ha utilizzato tutte le molecole della caseina. Fino agli inizi degli anni Ottanta, i produttori lo gettavano via, lo usavano per alimentare i maiali oppure ci irrigavano i campi, dove faceva da fertilizzante con un cattivo odore. Durante gli anni Ottanta i produttori iniziarono a sperimentare con la filtrazione del siero del latte per separare le proteine dall’acqua.


Tra i risultati ottenuti ci sono le seguenti forme di siero del latte, adesso usate negli alimenti per l’incremento della performance:


• Il concentrato di proteine del siero è un siero del latte dolce che è stato ridotto in forma concentrata affinché contenga per ogni unità un numero maggiore di proteine. Il processo rimuove alcune parti non proteiche come le ceneri, i carboidrati, i grassi ed il lattosio. Ma non rimuove completamente tutto e la quantità di proteine nel concentrato che rimane può variare di molto. Anche se alcune ditte usano forme senza dubbio più economiche e meno costose, lo standard per una proteina del siero del latte concentrata è un contenuto proteico dal 70 all’80%.


• Le proteine del siero possono essere concentrate ulteriormente per produrre le proteine isolate del siero, le quali contengono ancora meno grassi, meno carboidrati e altre componenti estranee rispetto alla forma concentrata. Le proteine isolate del siero dovrebbero avere un contenuto proteico tra l’80 e il 90%.


• Le proteine idrolizzate sono state messe in un apposito bagno per scomporne gli aminoacidi. In effetti il processo di idrolisi scompone la struttura proteica rendendo disponibili catene proteiche più piccole. Il siero del latte idrolizzato viene assimilato facilmente – una cosa potenzialmente buona nel senso che il corpo può usare gli aminoacidi velocemente – ma presenta pure caratteristiche meno desiderabili. Anzitutto ha un sapore orribile: l’idrolisi rende il prodotto estremamente amaro. Le caratteristiche delle proteine del siero del latte cambiano abbastanza a seconda della forma ma tutte hanno in comune certi tratti generali:
• Sono proteine complete; vale a dire possiedono tutti gli aminoacidi essenziali. Hanno un rapporto estremamente elevato per gli aminoacidi ramificati (BCAA) ossia tra leucina, isoleucina e valina. (I BCAA sono importanti per la crescita muscolare e una carenza per uno di essi comporta una perdita muscolare. A differenza di altri aminoacidi, i BCAA sono metabolizzati a livello muscolare invece che nel fegato).


• Sono assimilate dal corpo molto velocemente; anzi non rimangono nello stomaco ad aspettare di essere scomposte: passano direttamente nell’ultimo tratto dell’intestino.


• Stimolano il sistema immunitario.
Gran parte del dibattito che verte sul confronto tra siero del latte e caseina è in realtà solamente un problema di tempo. Dal momento che il caseinato viene assimilato con relativa lentezza, non possiede maggiore valore di un pasto sostitutivo preso prima di andare a dormire o nelle ore precedenti una sessione rispetto ad uno assunto a pochi minuti dal termine della sessione quando è necessario avere in circolo gli aminoacidi. L’assorbimento più veloce del siero del latte è un aiuto estremamente desiderabile immediatamente dopo la sessione d’allenamento oltre a costituire un buon apporto proteico come prima cosa di mattina.


Articolo tratto da "Diete progettate per gli atleti" di Marianne Karinch. Pubblicato in Italia da Sandro Ciccarelli Editore. Tutti i diritti riservati.

24 settembre 2012

L’acido linoleico coniugato e i livelli ormonali

Di Jerry Brainum

L’acido linoleico coniugato (CLA) è una versione speciale dell’acido linoleico. Diversamente dagli altri grassi, il CLA non è facile all’ossidazione, essendo, in effetti, un potente antiossidante. Numerosi studi sugli animali hanno mostrato come esso sembri fermare la crescita tumorale, mentre altre ricerche mostrano come esso possa risultare utile nella prevenzione sia del diabete che dell’obesità. Quello che non sappiamo è come il CLA possa influenzare gli ormoni presenti nel corpo.

Per rimediare a questa mancanza della letteratura medica sull’acido linoleico coniugato, scienziati della Wayne State University di Detroit hanno condotto una sperimentazione sui topi. Ai roditori è stata fatta seguire una dieta al 40% di grassi, per poi essere successivamente suddivisi nei seguenti gruppi:

1) I topi di questo gruppo hanno seguito la dieta iperlipidica per 8 settimane, con la conseguenza di diventare obesi. I roditori sono stati poi assoggettati ad un programma di restrizione alimentare per 3 settimane, che prevedeva solo il 50% del loro normale apporto alimentare. La risultante perdita di grassi fu del 20%. I soggetti sono stati poi riportati alla dieta al 40% di grassi.

2) I topi appartenenti a questo gruppo hanno subito lo stesso trattamento di quelli del gruppo 1, con la sola eccezione che il programma di rialimentazione, dopo la riduzione di peso, è  stato integrato con acido linoleico coniugato (CLA), equivalente all’1% dell’apporto calorico totale.

3) I topi di questo gruppo hanno seguito un normale programma di alimentazione.

4) Questi topi hanno consumato una dieta ricca di grassi, senza restrizioni.

Ai segni corrispondenti alla quarta ed ottava settimana del periodo di rialimentazione, 10 e 12 topi che avevano consumato dosi extra di CLA vennero soppressi, mentre tutti gli altri subirono la stessa sorte all’ottava settimana. Dopo 4 settimane di rialimentazione, i soggetti trattati con CLA avevano lo stesso peso degli altri topi, oltre che presentare lo stesso livello di grasso corporeo. Solo quelli del gruppo 3, per cui non era stato previsto un apporto più elevato di lipidi, mostrarono delle concentrazioni più basse di grasso corporeo.

Per quanto riguarda i valori ormonali, i livelli di questi ultimi risultarono pressoché simili in tutti i soggetti che seguivano la dieta iperlipidica, con la sola eccezione dell’IGF-1, che risultò significativamente ridotto nei topi che avevano ricevuto anche il CLA. La conclusione dello studio è stata che il consumo di 1% di CLA non aveva avuto alcun effetto sui livelli di grasso corporeo nel corso di una dieta ricca di lipidi, ma che aveva effettivamente ridotto le concentrazioni di IGF-1.

Dal momento che dei maggiori livelli di IGF-1 sono legati all’insorgenza di varie forme tumorali, come i tumori alla prostata e al seno, gli autori dello studio hanno suggerito che potrebbe trattarsi di un altro meccanismo dietro gli effetti anticancerogeni associati al CLA, oltre a quelli di una sua attività antiossidante.

Articolo tratto da “Applied Metabolics Volume 2“, pubblicato in Italia da Sandro Ciccarelli Editore. Tutti i diritti riservati.

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22 settembre 2012

La vitamina C può essere anticatabolica?

di Jerry Brainum

Mentre vari nutrienti, come la glutammina ed altri aminoacidi, sono spesso pubblicizzati per i loro effetti anticatabolici nei muscoli, altri nutrienti, che potrebbero offrire effetti simili, vengono spesso trascurati. Un esempio tipico è la vitamina C, ovvero l'acido ascorbico. Le potenziali proprietà anticataboliche della vitamina C sono state evidenziate da uno studio presentato da un gruppo di ricercatori dell’Università Statale dell’Arizona, USA.

Lo studio esaminò gli effetti della vitamina C sull’utilizzo delle fonti energetiche durante una prova di cammino di 60 minuti sul tapis roulant, a bassa intensità (50% del Vo2max). I soggetti della ricerca erano 8 persone con apporto adeguato di vitamina C o 8 persone con carenza di vitamina C. Nessuno dei due gruppi era a conoscenza del loro stato di vitamina C e, naturalmente, si trattava di individui altrimenti in perfetta salute. Nel gruppo con carenza di vitamina C, l’ossidazione delle proteine nel corso dell’allenamento era due volte maggiore rispetto al gruppo con apporto adeguato. Di conseguenza, i soggetti con riserve esaurite di vitamina C bruciarono una quantità maggiore di proteine durante la sessione di allenamento.

Qual era la ragione di un effetto simile? Entra quindi in gioco la parte importante che la vitamina C svolge nella sintesi della carnitina da aminoacidi quali la lisina. In questo processo è necessaria la presenza della vitamina C in qualità di coenzima e, in mancanza di un adeguato rifornimento di vitamina C, la sintesi della carnitina ne risulta inibita. La stessa carnitina opera aiutando a trasportare i grassi a catena lunga in quelle parti delle cellule conosciute come mitocondri, dove i lipidi vengono bruciati, ovvero ossidati, tramite un processo denominato beta-ossidazione.

Permettendo l’ossidazione dei lipidi, la carnitina svolge quindi un’azione di risparmio nei confronti delle proteine, più specificatamente degli aminoacidi a catena ramificata (BCAA) che verrebbero altrimenti impiegati. Agendo in questo modo, la carnitina promuove la ritenzione di azoto, un effetto di natura anticatabolica. Tuttavia, in mancanza di un apporto adeguato di vitamina C, la sintesi della carnitina non ha luogo, ragione questa del fatto che i soggetti carenti di vitamina C avevano bruciato una quantità maggiore di proteine anche durante un allenamento a bassa intensità.

Articolo tratto da “Applied Metabolics Volume 2“, pubblicato in Italia da Sandro Ciccarelli Editore. Tutti i diritti riservati.

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20 settembre 2012

Gli integratori di vitamine e minerali contribuiscono a migliorare la performance?

di Jerry Brainum

Sono attualmente in commercio molti tipi di bevande per lo sport che, secondo i loro produttori, dovrebbero contribuire ad aumentare la performance atletica e di allenamento. Molti cosiddetti “esperti” della nutrizione hanno scritto che non è necessario ricorrere a questi drink e che la maggior parte delle persone che conducono una vita attiva dovrebbe bere della semplice acqua. La disidratazione è il vero nemico dell’attività, affermano questi cinici, e l’acqua ne è la cura. In che modo, tuttavia, l’ingestione di semplice acqua può essere paragonata ad alcune di queste bibite per lo sport ad alta tecnologia?

Un gruppo di scienziati provenienti dall’Oregon, dal Kansas e dall’Oklahoma hanno provato a rispondere a questa domanda. Essi hanno testato 3 tipi di drink per lo sport attualmente in commercio, in combinazione con integratori a base di vitamine e minerali (VMS = Vitamin-Mineral Supplement), contro della semplice acqua tra i membri di due squadre di calcio della scuola secondaria superiore, di età media tra i 14 e i 17 anni. Questi giovani atleti sono stati impegnati in un programma estivo di forza di 8 settimane, con la stessa routine di allenamento, in pratica sessioni di 70 minuti ciascuna, per 5 giorni alla settimana.

La Squadra 1, formata da 20 atleti, beveva il drink per lo sport, mentre i 23 atleti della Squadra 2 ingeriva della semplice acqua. Trenta minuti prima dell’allenamento, gli appartenenti alla Squadra 1 dovevano bere una bevanda ad alto contenuto di colina e di fenilalanina, un aminoacido, e prendere l’integratore vitaminico-minerale. Nel corso della sessione di allenamento, questi giovani atleti ingerivano un’altra bibita, questa volta ricca di potassio, magnesio e glutammina. Una volta terminata la sessione di allenamento, bevevano un terzo tipo di integratore liquido, un preparato di recupero contenente carboidrati, proteine, aminoacidi e creatina.

I risultati dello studio non evidenziarono significative differenze in termini di composizione corporea tra la Squadra 1 e la Squadra 2. In ogni caso, i soggetti della Squadra 1, per cui era prevista l’integrazione dei nutrienti in forma liquida, evidenziarono dei maggiori incrementi di forza sia nello squat che nelle distensioni su panca (bench press) rispetto al gruppo ad acqua o alla Squadra 2. Gli atleti della Squadra 1 mostrarono inoltre un miglioramento più marcato nel numero dei pull-up (trazioni alla sbarra) e nella distanza coperta nel salto in lungo.

Tutto questo portò alla conclusione che questi drink a base di nutrienti e gli integratori vitaminici-minerali apportino dei vantaggi che la semplice, sola acqua non è in grado di offrire.

Articolo tratto da “Applied Metabolics Volume 2“, pubblicato in Italia da Sandro Ciccarelli Editore. Tutti i diritti riservati.

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18 settembre 2012

Gli effetti anticatabolici dell'HMB

di Jerry Brainum


L’HMB, ovvero beta-idrossi-beta-metilbutirrato, è un metabolita della leucina, un aminoacido a catena ramificata. Parecchie ricerche pubblicate in questi ultimi anni hanno mostrato come l’HMB, in dosi giornaliere di 3 grammi, possa aiutare ad evitare un’eccessiva disgregazione proteica dopo un intenso esercizio fisico. Studi più recenti mostrano che questo effetto può verificarsi con più facilità nei soggetti che iniziano ad allenarsi e che esso non sia altrettanto evidente in atleti o bodybuilder più esperti.

Ciononostante, gli scienziati dell’Università dello Iowa, che detiene la patente d’uso sull’HMB, si sono uniti ad un altro gruppo di ricercatori del Pennington Biomedical Research Center a Baton Rouge, in Louisiana, per verificare se l’HMB possa contribuire ad evitare il processo di atrofia muscolare che si ha in una situazione di completa inattività, come, per esempio, durante il riposo forzato a letto. A tale fine, i ricercatori hanno fatto rimanere a letto, in posizione distesa, 12 uomini sani, per un totale di 25 giorni. Si spera che questi poveri disgraziati avessero perlomeno una televisione o una connessione internet a loro disposizione!

Per accelerare l’effetto di atrofia muscolare, i soggetti hanno ingerito 25 mg al giorno di T3, ovvero di ormone tiroideo attivo. Gli uomini sono stati suddivisi in un gruppo ad HMB (3 g giornalieri) e in un gruppo a placebo. I risultati hanno mostratoche ambedue i gruppi persero almeno il 10% della massa muscolare delle cosce. In ogni caso, una prova di forza, consistente in estensioni delle gambe, permise di notare come la forza delle cosce dei soggetti appartenenti al gruppo a placebo fosse diminuita del 27%, mentre si era ridotta del 17% in quello ad HMB. In base a quanto scoperto, la conclusione di questo studio è stata che l’HMB può contribuire a conservare la forza muscolare nei periodi di riposo a letto, se assunto unitamente all’ormone tiroideo.

La ricerca in oggetto è stata finanziata dalla NASA e da Metabolic Technologies, Inc., la divisione commerciale dell’Università dello Iowa, possessore del brevetto d’uso dell’HMB. La NASA è chiaramente interessata nel progetto, proprio perché direttamente interessata a qualsiasi sostanza in grado di aiutare a mantenere la forza muscolare durante permanenze prolungate nello spazio, quali, per esempio, un soggiorno su laboratori spaziali orbitanti o un viaggio su Marte. Sappiamo come l’assenza di peso nello spazio induca una rapida perdita della forza muscolare, al punto che alcuni astronauti hanno addirittura avuto dei problemi nella deambulazione dopo essere rientrati da lunghi viaggi spaziali o dopo una prolungata permanenza nella Mir, la stazione spaziale sovietica. 

L’aspetto interessante di questo studio è che l’HMB (beta-idrossibeta- metilbutirrato) sembra poter aiutare a conservare la forza muscolare senza, tuttavia, alcun effetto di prevenzione nei confronti dell’atrofia muscolare. Questo è un processo simile a quanto sperimentato da molti bodybuilder che hanno fatto uso di integratori di HMB. Questa sostanza sembra anche migliorare il recupero muscolare, anche se non si sono quasi notati aumenti di misura muscolare nella maggioranza delle persone. Come già sottolineato, recenti ricerche mostrano che l’HMB sembra funzionare meglio nei soggetti che si allenano da poco tempo, rispetto ad altri con maggiore pratica ed esperienza.


Articolo tratto da “Applied Metabolics Volume 2“, pubblicato in Italia da Sandro Ciccarelli Editore. Tutti i diritti riservati. Powered by Olympian’s News - Clicca qui per abbonarti!


16 settembre 2012

Acidi grassi omega 3 e guarigione dei legamenti

di Jerry Brainum

Gli acidi grassi omega-3, presenti in via naturale nei pesci grassi, come le sardine, il salmone e l’eglefino (pesce simile al merluzzo) possiedono degli effetti preventivi o terapeutici nei confronti di patologie quali i tumori, le malattie cardiovascolari e l’artrite. Aumentando la sensibilità all’insulina, questo tipo di grassi possono inoltre rivelarsi utili nel trattamento del diabete e dell’obesità. La ricerca precedente aveva già stabilito con sicurezza l’esistenza di simili effetti. In ogni caso, un nuovo studio presentato da gruppi della Purdue University e della Colorado State University (Università Statale del Colorado) mostra che un particolare tipo di acido grasso omega-3 può rivelarsi utile nel processo di riparazione e guarigione dei legamenti.

La ricerca si incentra su fibroblasti isolati (cellule del tessuto connettivo), ottenuti da un legamento collaterale mediale, un legamento del ginocchio facile alle lesioni. Le cellule vennero esposte per 4 giorni ad un acido grasso omega-6 (acido arachidonico ovvero acido eicosatetraenoico) o altresì ad un acido grasso omega-3, l’acido eicosapentaenoico (EPA), per subire poi una ferita al giorno. Ambedue gli acidi grassi risultarono accelerare il processo di riparazione cellulare, a confronto di una sostanza di controllo durante le prime 72 ore. Tuttavia, gli acidi grassi omega-6, che sono generalmente di natura infiammatoria, ridussero la formazione del collagene e la deposizione proteica totale, mentre gli acidi grassi omega-3 mostrarono effetti opposti aumentando, in pratica, la formazione di collagene (indice di un processo di guarigione più rapido) e la formazione delle proteine.

Una prostaglandina infiammatoria, la PGE-2, aumentava con gli acidi grassi omega-6, ma diminuiva con quelli omega-3. L’espandersi dell’infiammazione, con il conseguente ritardo del processo di guarigione dei legamenti danneggiati, era causata da una maggiore sintesi della prostaglandina ad opera degli acidi grassi omega-6, sintesi che non si verifica con gli acidi grassi omega-3. Di conseguenza, gli omega-3 influenzano positivamente la guarigione dei legamenti danneggiati riducendo la produzione dei mediatori (intermediari) infiammatori che, in caso contrario, lo ritarderebbero.

Mentre l’organismo è in grado di trasformare l’acido alfa-linoleico, presente, tra l’altro, nell’olio di lino, in EPA, questa conversione non è altrettanto efficiente. Ai precisi fini terapeutici, come l’effetto di cicatrizzazione dei legamenti evidenziato in questo particolare studio, otterreste dei risultati migliori se ricorrerete ad un integratore preformato di olio di pesce omega-3 o se consumaste delle maggiori quantità di pesci ricchi di questo acido grasso: salmone, sardine, merluzzo e pesce azzurro.

Articolo tratto da “Applied Metabolics Volume 2“, pubblicato in Italia da Sandro Ciccarelli Editore. Tutti i diritti riservati.

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14 settembre 2012

La carnitina è un aiuto nella dieta?

Di Jerry Brainum

La carnitina è un sottoprodotto degli aminoacidi spesso proposto come aiuto nelle diete. Il suggerimento nasce dal fatto che la carnitina è necessaria per il trasporto degli acidi grassi in quella parte delle cellule (mitocondri) dove avviene l’ossidazione dei grassi. Dal momento che la carnitina costituisce un momento essenziale del processo di ossidazione lipidica, l’idea in questione era che la sua integrazione in un programma di restrizione alimentare permettesse di bruciare i lipidi con maggiore efficacia.

Il concetto della carnitina come sostanza ossidante i grassi presenta, tuttavia, parecchi difetti. Per prima cosa, molti studi hanno mostrato come la sintesi di carnitina sia migliore quando l’organismo utilizza i grassi come fonte energetica. Persino le persone obese hanno spesso dei livelli ematici di carnitina più alti della media. Un altro problema è rappresentato dal basso tasso di assunzione di questa sostanza; alcuni studi mostrano come ne venga assorbito solo circa il 2% di una dose orale. D’altra parte, come evidenziato da ricerche sull’uomo e sugli animali, l’aggiunta di un altro nutriente, la colina, sembra contribuire a conservare la carnitina all’interno dell’organismo.

La carnitina, in qualità di aiuto ergogeno, ha avuto risultati misti. Se una sostanza come la carnitina riuscisse veramente ad aumentare l’utilizzo dei grassi come fonte d’energia, ne conseguirebbe allora un risparmio delle limitate riserve di glicogeno nei muscoli e nel fegato, con un evidente effetto su un esercizio fisico prolungato, come le prove di capacità di durata. Mentre alcuni studi mostrano come l’integrazione di carnitina possa, in effetti, raggiungere questo scopo, la maggior parte delle ricerche che hanno studiato il potenziale ergogeno di questo nutriente non hanno, in realtà, notato alcun effetto significativo.

Secondo uno studio condotto da ricercatori della Louisiana State University (Università Statale della Louisiana) la carnitina può ancora offrire dei vantaggi sotto il profilo della dieta. La ricerca in questione aveva come soggetti 64 topi, per cui erano previste delle varianti di diete iperproteiche e iperlipidiche, alcune delle quali integrate con carnitina, per un periodo di 8 settimane. I roditori che seguivano le diete ad alto contenuto di proteine mostrarono dei livelli più elevati di glucosio, di azoto urico e di ammoniaca sierica nel sangue, ai punti corrispondenti alla seconda e ottava settimana. I topi sulle diete iperlipidiche evidenziarono dei maggiori depositi di grasso addominale e, dopo 2 settimane, un ridotto apporto di cibo, oltre che un’efficienza energetica ed incremento di peso maggiori.

L’integrazione di carnitina determinò una riduzione dei livelli di glucosio e di ammoniaca sierica al segno corrispondente alla seconda settimana, ma non all’ottava. Fatto ancora più importante, nei topi che avevano assunto carnitina, i livelli ematici di glucosio rimasero stabili per l’intera durata dello studio, senza presentare le solite variazioni di zucchero ematico che si osservano spesso durante le diete. Nei soggetti che non avevano ricevuto la carnitina, i livelli di glucosio ematico diminuirono, a partire dal punto corrispondente alla seconda settimana.

Lo studio mostra come l’integrazione di carnitina sembra limitare la produzione di ammoniaca durante una alimentazione ricca di proteine permettendo, allo stesso tempo, di mantenere dei livelli stabili di glucosio ematico. Dal momento che l’ammoniaca è un sottoprodotto del metabolismo proteico, associato spesso, se assunto in quantità eccessive, ad uno stato di affaticamento, questo indica come la carnitina potrebbe non accelerare l’ossidazione dei grassi durante una dieta, ma comunque aiutare a mantenere i livelli energetici, rendendola quindi più facile e sopportabile.

Articolo tratto da “Applied Metabolics Volume 2“, pubblicato in Italia da Sandro Ciccarelli Editore. Tutti i diritti riservati.

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12 settembre 2012

Gli aminoacidi e la sintesi delle proteine muscolari

di Jerry brainum

La ricerca scientifica ha mostrato che l’infusione in vena di aminoacidi, sia a riposo che dopo l’allenamento, riduce il catabolismo, ovvero la disgregazione muscolare, promuovendo, allo stesso tempo, la sintesi delle proteine muscolari. Tuttavia, l’infusione di aminoacidi non è, per la maggior parte delle persone, una tecnica molto pratica. Di conseguenza, qual'è una modalità efficiente di assunzione di aminoacidi per via orale, capace di promuovere una maggiore sintesi di proteine muscolari?

Una ricerca di qualche anno fa ha seguito l’apporto di aminoacidi in forma orale in un gruppo di uomini e donne. I soggetti hanno ingerito 550 ml di una soluzione contenente solo 13,4 g di aminoacidi essenziali e 35 g di saccarosio, meglio conosciuto come zucchero da tavola. Sono stati forniti solo aminoacidi essenziali perché i ricercatori hanno ritenuto che l’organismo umano sia in grado di rispondere alle necessità di una migliore sintesi di proteine muscolari sintetizzando gli altri cosiddetti aminoacidi non essenziali. I ricercatori hanno incluso lo zucchero nella soluzione per due motivi.

1) la bevanda risulta più apprezzabile al palato grazie alla dolcezza dello zucchero;

2) lo zucchero favorisce la sintesi di insulina, che aumenta l’assorbimento degli aminoacidi nei muscoli. L’insulina, inoltre, impedisce il rilascio di aminoacidi dai muscoli, un effetto di tipo anticatabolico.


A seguito di tale assunzione i livelli d’insulina si alzarono entro 30 minuti dall’ingestione della bevanda. Parallelamente alla crescita insulinica, anche i livelli plasmatici degli aminoacidi essenziali e non essenziali aumentarono in modo molto evidente. Infatti i livelli aminoacidici crebbero dal 100 al 400% oltre i valori base, o di riposo, da 10 a 30 minuti dopo aver bevuto la soluzione. Il bilancio azotato netto, una misura dell’utilizzo proteico nell’organismo, cambiò da uno stato negativo ad uno positivo entro soli 10 minuti dall’ingestione della bevanda. Il fatto che la sintesi proteica avesse luogo senza l’ingestione degli aminoacidi non essenziali ci mostra come l’organismo possa veramente fornire endogenamente le quantità necessarie di tali aminoacidi. Il fattore limitante pertanto è costituito dagli aminoacidi essenziali. Di conseguenza, una bibita proteica anabolica deve necessariamente contenere solo aminoacidi essenziali (BCAA) per essere realmente efficace.

Lo zucchero presente nella bevanda ha fatto effettivamente alzare i valori dell’insulina. Ricerche precedenti avevano mostrato che l’insulina da sola però non è in grado di promuovere un aumento dei processi anabolici dei muscoli senza la presenza di aminoacidi. Questo studio ha provato pertanto che l’ingestione orale degli aminoacidi essenziali con una fonte alimentare di carboidrati semplici funziona altrettanto bene di un’infusione degli stessi nutrienti, per quanto riguarda la promozione di una maggiore sintesi proteica muscolare e di un minore catabolismo proteico dei muscoli.

Bibliografia

Tipton, K.D., et al. (1999). Nonessential amino acids are not necessary to stimulate net muscle protein synthesis in healthy volunteers. Journal of Nutritional Biochemistry. 10:89-95.

Articolo tratto da “Applied Metabolics Volume 2“, pubblicato in Italia da Sandro Ciccarelli Editore. Tutti i diritti riservati.

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10 settembre 2012

L'eccesso proteico è controproducente?

di Jerry Brainum

La maggior parte degli atleti ritiene che una sintesi ottimale delle proteine muscolari necessiti di un’alimentazione iperproteica. Le prove disponibili al riguardo concordano con questa tesi, sebbene alcuni scienziati ritengano che l’allenamento di resistenza aerobica richieda un maggiore apporto di proteine rispetto all’allenamento con i pesi. Il ragionamento alla base è che, con l’allenamento di resistenza, le proteine, sotto forma di aminoacidi, vengono usate ai fini energetici alzando la richiesta di questi nutrienti. Questo, tuttavia, è valido solo per attività prolungate di natura aerobica di tre ore o più.

Una nuova ricerca ha esaminato gli effetti di un apporto proteico elevato e moderato, nell’arco di 24 ore, che comprendeva un allenamento aerobico di intensità moderata, in soggetti adulti sani. L’apporto proteico normale prevedeva 1 grammo di proteine per chilogrammo di peso corporeo, mentre quello elevato consisteva in 2,5 grammi di proteine per chilogrammo. L’apporto elevato di proteine (2,5 g/ kg di peso corporeo) è tre volte la quantità giornaliera raccomandata, pari a 0,8 grammi di proteine per chilogrammo, e si avvicina alle dosi consumate da molti atleti di forza.


L’apporto di proteine più alto ha provocato un maggiore aumento della disgregazione proteica indotta dall’allenamento. Questo effetto si è verificato a causa della più elevata ossidazione di aminoacidi, nel caso dell’apporto più alto di proteine, che è continuato anche dopo che la sessione di allenamento aveva avuto termine. L’effetto finale di questa nutrizione con proteine è stata che nel gruppo per cui era previsto un normale apporto la sintesi è aumentata del 10%, mentre nel caso di quello ad apporto elevato è aumentata del 34%. Le cifre del catabolismo proteico hanno evidenziano una riduzione del 30% nel gruppo ad apporto proteico normale, con un calo del 60% in quello ad elevato apporto di proteine.

Gli autori della ricerca osservano che “sarebbe ragionevole pensare che la sintesi proteica dell’intero organismo sia sensibile alla, e regolata dalla, disponibilità degli aminoacidi e, forse, che la disgregazione delle proteine, in tutto il corpo, possa essere influenzata da un ulteriore effetto dei livelli degli aminoacidi e dell’insulina.” Ancora più problematica una successiva affermazione, sempre ad opera degli stessi autori, che “dai dati in nostro possesso non è evidente che livelli più elevati di apporto proteico, oggetto della nostra ricerca, favoriscano un profondo o significativo aumento degli effetti anabolici dell’allenamento o di equilibrio proteico corporeo.”

Come hanno fatto a trarre delle simili conclusioni? L’elevato apporto di proteine ha determinato una sintesi proteica tre volte maggiore, unitamente ad una doppia riduzione del catabolismo proteico, rispetto ad apporti di proteine normali o ridotti. Come questo risultato non sia stato considerato anabolico, è decisamente un fatto curioso...

Anche un altro aspetto di questo studio ha diritto ad un commento. Quest’ultimo si collega al fatto che con un apporto più elevato di proteine, è maggiore la quantità di aminoacidi che vengono ossidati o utilizzati come fonte energetica. Alcune attuali teorie sostengono che si dovrebbe ciclizzare l’apporto di proteine, o alternare tra fasi di apporto alto e basso, al fine di massimizzare quanto più possibile l’utilizzo delle stesse. Secondo queste teorie, un livello proteico nettamente più elevato porterebbe, in ultima analisi, ad uno spreco di proteine e ad una disgregazione proteica più rapida.


Riferimenti bibliografici

Forslund, A.H., et al. (1998). The 24-hour whole body leucine and urea kinetics at normal and high protein intakes with exercise in healthy adults. American Journal of Physiology E320.

Articolo tratto da “Applied Metabolics Volume 2“, pubblicato in Italia da Sandro Ciccarelli Editore. Tutti i diritti riservati.

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8 settembre 2012

Acidi grassi essenziali: l'olio di semi di canapa

di Rehan Jalali

Permettetemi di anticiparlo subito: oggi cercherò di farvi comprare qualcosa. È qualcosa che vi farà bene – e farà bene alla vostra prestazione atletica – anche se si tratta di un’idea a cui ci vorrà un po' di tempo per abituarsi. Dopo tutto, i nutrizionisti e i guru delle diete ci hanno indottrinato sui danni provocati dai grassi alimentari fin dagli anni Settanta, perciò è difficile credere che alcuni grassi siano essenziali per vivere. In apparenza il termine grasso è ben troppo semplice per la sostanza complessa che rappresenta. Ecco perché credo che sia nel massimo interesse di chiunque – body builder e altri atleti oltre che la gente di ogni giorno – considerare l’integrazione dei grassi essenziali.

Ci sono due acidi grassi essenziali, o EFA: l’acido linoleico e l’acido linolenico. L’acido linoleico è incluso nella categoria nota come acidi grassi omega-6, mentre l’acido linolenico – in particolare l’acido alfa linolenico – è un acido grasso omega-3. Anche un altro acido grasso omega-6, l’acido gamma linoleico (GLA), è importante per la salute e la prestazione atletica. Come l’acqua e le vitamine e certi aminoacidi, gli acidi linoleico e alfa linolenico sono necessari per la vita. Se non li ricavate dalla dieta, il vostro organismo deperirà e morirete. Certo, un livello minimo è richiesto per tenere alla larga i danni della carenza. Non è stato chiaramente definito, però, e non esistono USRDA (quantità giornaliere consigliate per la popolazione degli USA) per entrambi gli acidi grassi essenziali.

Nel libro Fats That Heal, Fats That Kill (Alive Books, 1997), l’autore Udo Erasmus consiglia un’assunzione quotidiana minima di 3-6 g di acido linoleico e da 1 a 3 g di acido linolenico per prevenire la carenza. Inoltre suggerisce che per una salute ottimale si dovrebbero assumere il 3-6% delle calorie di acido linoleico e il 2% di acido linolenico. (Se siete davvero interessati ai grassi e ai loro effetti sulla salute, vi consiglio caldamente di leggere questo libro.)

Nel corpo umano si trova una classe di “ormoni” chiamati prostaglandine. Certe prostaglandine giovano alla salute e alla prevenzione delle malattie, mentre altre sono essenziali per la reazione dell’organismo allo stress o agli infortuni. Le prostaglandine sono derivate dagli acidi grassi essenziali. Ci sono tre classi, o serie, di prostaglandine. Le versioni della serie 1, particolarmente la PGE1, presentano molti effetti positivi per gli atleti. Sembrano avere effetti anabolici, promuovere la termogenesi, aumentare la rimozione di sodio ed acqua dai reni e prevenire i coaguli di sangue. Le prostaglandine di serie 2 hanno l’effetto opposto, in quanto sembrano innescare la liberazione di substrati energetici scomponendo le proteine strutturali, causando la ritenzione di sale e di acqua e promuovendo la coagulazione del sangue.


La natura mantiene sempre l’equilibrio. In una situazione di "combatti o fuggi" il vostro organismo reagisce per assicurare la sopravvivenza a breve termine: la pressione sanguigna si alza, il sanguinamento si arresta e il corpo ha a disposizione l’energia di cui necessita. Un fatto interessante è che sia le prostaglandine di serie 1 sia quelle di serie 2 sono derivate dal medesimo precursore, l’acido linoleico (acido grasso omega-6), mentre le prostaglandine di serie 3 dall’acido linolenico (acido grasso omega-3). Le prostaglandine di serie 3 non sono importanti per le loro azioni ma piuttosto per la loro capacità di ridurre il ritmo con cui sono formate le prostaglandine di serie 2.

Quindi le prostaglandine di serie 1 promuovono la performance, le prostaglandine di serie 2 la interrompono e quelle di serie 3 bloccano la formazione delle prostaglandine di serie 2. Ovviamente voi avete bisogno di acquistare solo le prostaglandine di serie 1 e serie 3. Come sarebbe meraviglioso se fosse facile! Per sfortuna non lo è. Probabilmente presto riceverete via mail un’offerta per acquistare prostaglandine di serie 1 e serie 3 della Cina o da altri paesi dell’Est. Non credeteci!!


Le prostaglandine non sono veri ormoni. Sono ormoni paracrini o in alcuni casi autocrini, il che vuol dire che sono attivi solamente all’interno o nelle vicinanze delle cellule dove sono state generate. I veri ormoni fluttuano per tutto il corpo per raggiungere organi o tessuti bersaglio anche distanti. Il rovescio della medaglia della particolarità di aver un'azione solo locale è che le prostaglandine non sono disponibili in forma orale – a meno che non le prendiate in enormi quantità – e possono essere somministrate solo per endovena. Il vantaggio è che potete prendere i precursori – gli acidi grassi essenziali – e fornire al vostro organismo i materiali da costruzione per formare le prostaglandine in modo naturale e legale.

Ciò mi porta a suggerirvi una fonte superiore di grassi essenziali: l’olio di semi di canapa! Tanto per cominciare, il prodotto dovrebbe essere trattato con azoto e in forma di capsule gelatinose. Gli acidi grassi essenziali possiedono strutture chimiche specifiche, compreso doppi legami fragili che sono facilmente disturbati dal calore, dalla pressione e perfino dalla luce. Gli olii che contengono gli acidi grassi essenziali sono in pratica acidi grassi liquidi e devono essere protetti dal calore, dalla pressione e dalla luce  durante tutti i processi di compressione, inscatolamento e spedizione. Inoltre i produttori devono rimuovere ogni ossigeno extra dalle linee di lavorazione e dall’interno delle bottiglie, cosa che solitamente viene fatta ripulendo le linee di lavorazione e le bottiglie con gas d’azoto. A quel punto le capsule gelatinose sono meno sensibili all’aria e possono essere maggiormente stabili. Naturalmente un processo di qualità non ha significato se non dà come risultato un prodotto di qualità. Ora, prima che vi entusiasmate troppo, distinguete che è canapa, non marijuana. La canapa, e non la marijuana, possiede un grande valore nutritivo e il massimo benefico del seme di canapa è il suo contenuto di acidi gassi essenziali più GLA.


Molti di noi hanno usato come integratore lipidico l’olio di semi di lino o l’olio di primula notturna. I semi di lino apportano gli acidi grassi omega-3 in alta concentrazione, mentre la primula notturna è una buona fonte di GLA. Anche se sono ottimi per correggere una carenza o uno squilibrio rispettivamente di omega-3 o omega-6, non sono appropriati per un’integrazione di acidi grassi nel lungo termine. Questo è un punto importante ed il motivo è semplice: la natura ha creato l’equilibrio per un motivo ben preciso e voi lo dovreste mantenere. Alla lunga si dovrebbero assumere gli acidi grassi dietetici in un rapporto che segua l’equilibrio della natura e il prodotto che lo farà è l’olio di semi di canapa.

Erasmus ha avanzato la seguente affermazione sull’olio di canapa: “L’olio di canapa è ben bilanciato, con un buon rapporto tra gli omega-3 e gli omega- 6 e contiene anche l’acido gamma linolenico. L’olio di semi di canapa può essere usato nel lungo termine per mantenere un corretto equilibrio di EFA senza portare a carenze o squilibri negli EFA… L’olio di semi di canapa contiene gli acidi grassi essenziali omega-3 e omega-6 in un rapporto ideale, 3 ad 1, per l’assunzione a lungo termine.

I giorni del tonno in salamoia pieno di acqua e del riso sono finiti perché i grassi diventano un importante pedina nella strategia dietetica del bodybuilding. Gli acidi grassi essenziali possono aiutarvi ad ottenere il massimo dei benefici per la salute e per la performance.

Rehan Jalali è il presidente del Supplement Research Foundation. Ha una laurea di primo grado in alimentazione e biochimica ed ha studiato scienza dell’alimentazione e dell’integrazione per gli ultimi sette anni. È anche un bodybuilder natural agonista di livello nazionale ed ex powerlifter universitario.

6 settembre 2012

Glutammina e cortisolo

del Dott. Mauro Di Pasquale 

È stato recentemente dimostrato come l’eccesso di cortisolo comporti un aumento dose-dipendente del flusso ematico di glutammina attraverso l’aumento della disgregazione proteica e della sintesi di glutammina ex novo. In condizioni di stress, infatti, l’aumento della sintesi e del rilascio dei glucocorticoidi attiva il catabolismo muscolare e l’ossidazione degli aminoacidi intracellulari (soprattutto i BCAA).

Entrambi i processi portano ad un aumento della formazione e del rilascio di glutammina nella circolazione generale, così che la stessa possa essere utilizzata da altri tessuti, soprattutto quelli del tratto gastrointestinale e del sistema immunitario.

È stato osservato inoltre che i glucocorticoidi che aumentano negli stati di catabolismo sono gli stessi che mediano questi cambiamenti attraverso:

1. L’aumento dell’efflusso di glutammina dai muscoli scheletrici

2. L’aumento dell’attività di glutammina sintetasi e di RNA messaggero (mRNA)

3. La riduzione delle scorte intramuscolari di glutammina

4. L’alterazione della cinetica dei trasportatori di glutammina, in modo tale che l’efflusso di glutammina possa essere massimizzato anche a livelli intramuscolari di glutammina più bassi.

Tutti insieme, questi effetti assicurano un rilascio ed una sintesi di glutammina, da parte dei muscoli scheletrici, adeguati alla richiesta durante gli stati catabolici. E’ comunque possibile che questi cambiamenti risultino insufficienti a bilanciare l’aumento del tasso di utilizzo di glutammina da parte degli altri organi.

Gli studi condotti hanno dimostrato come l’integrazione di questo aminoacido possa ridurre drasticamente gli effetti negativi provocati dall’aumento eccessivo dei livelli di cortisolo che si verificano dopo uno stress fisico e/o psicologico. L’integrazone con glutamina si è dimostrata efficace anche per prevenire la diminuzione della sintesi proteica e l’indebolimento muscolare che si verifica a seguito di ripetuti trattamenti a base di glucocorticoidi.

Dal momento che degli alti livelli di cortisolo, in associazione con delle forme di stress ed esercizio fisico, possono, attraverso vari percorsi metabolici, determinare una diminuzione della sintesi proteica e un aumento del catabolismo, l’utilizzo di glutammina potrebbe essere, in situazioni del genere, un valido agente anabolico. Per esempio, sia il superallenamento che l’esercizio fisico ad alta intensità possono aumentare la produzione di cortisolo e la glutammina può svolgere un effetto di tipo anticatabolico limitando l’influenza catabolica di questo aumento di cortisolo.

L’integrazione di glutammina può pertanto attenuare la risposta del cortisolo allo stress e diminuire sia il catabolismo dei muscoli scheletrici che l’ossidazione aminoacidica che, a loro volta, potrebbero essere utilizzate per la sintesi delle proteine, sia durante l’esercizio fisico che nella fase di recupero. Se mantenuta per un certo periodo di tempo, l’integrazione di glutammina potrebbe migliorare i risultati di un allenamento con i pesi.

Articolo tratto da “Amminoacidi e proteine per l’atleta” del Dott. Mauro di Pasquale –  Pubblicato da Sandro Ciccarelli Editore – All rights Reserved

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2 settembre 2012

Gli stessi alimenti non sono tutti uguali

del Dott. Fred Hatfield

In generale gli alimenti hanno un contenuto nutritivo molto variabile. La carne, per esempio, è ricca di proteine ma non contiene quasi per niente carboidrati; le carote sono ricche di beta-carotene, ma hanno solo tracce di proteine. Addirittura può variare molto perfino il contenuto nutritivo di uno stesso alimento, cioè le sostanze nutritive che contiene possono essere diverse a seconda della zona geografica e, all’interno della medesima zona, da un anno all’altro a seconda delle condizioni meteorologiche o di altri fattori esogeni. 

In parole povere, una patata coltivata in Italia non avrà necessariamente il medesimo contenuto nutritivo di una patata coltivata in Spagna. Il non tenere conto di queste variazioni nel contenuto nutritivo rappresenta uno dei difetti maggiori delle diete più diffuse, le quali hanno sempre sostenuto che una patata è una patata, punto e basta.

Nel passato era difficile compensare queste differenze, ma oggigiorno, con l’aiuto della moderna tecnologia alimentare, è possibile soddisfare efficacemente i particolari fabbisogni nutrizionali di un atleta. Le speciali preparazioni alimentari e gli integratori sportivi sono standardizzati ed affidabili, rendendo in tal modo facile e più economico assumere tutte le sostanze nutritive necessarie per la performance. Non vuol dire però che programmare una dieta nutriente sia facile, tutt’altro. Alcuni alimenti sono più salutari di altri. Il termine salutare dovrebbe essere impiegato per alimenti freschi, sani e ricchi di sostanze nutritive. Invece viene usato da molti pubblicitari per descrivere qualsiasi genere di cibo, addirittura anche per i prodotti da forno ricchi di grassi....

In risposta alla crescente domanda da parte dei consumatori di alimenti veramente salutari, negli ultimi decenni sono spuntati un po’ dappertutto alimenti biologici e relativi punti vendita. Si stima che solo negli USA i negozi della salute (Health Food Store) sarebbero oltre diecimila, e a quanto mi dicono anche in Europa stanno spuntando come funghi (biologici, ovviamente!). In realtà si devono mangiare con moderazione anche gli alimenti sani. È uno sbaglio assai diffuso pensare che tutto ciò che si acquista in un negozio della salute sia buono e se ne possa mangiare in grosse quantità: beh, può creare problemi alla salute anche un alimento sano, se se ne mangia troppo. 

Leggendo le etichette vedrete che molti alimenti dietetici sono ricchi di grassi, quantunque grassi insaturi. Ma saturi o insaturi, i grassi devono essere ridotti al minimo essenziale per il corretto svolgimento dei propri processi metabolici.  Gli alimenti sani che dovreste prediligere (sia nei negozi della salute che nei supermercati) sono frutta e verdure fresche, cereali integrali interi e in fiocchi, carni magre, pesce e pollame.

Oltre agli alimenti freschi e integrali, si possono acquistare alcuni alimenti lavorati. Per certi aspetti gli alimenti lavorati sono simili agli integratori: entrambi vengono ottenuti combinando precisi ingredienti. Ma la somiglianza finisce qui. Gli alimenti lavorati, per esempio quelli in scatola, i congelati, il pane e le merendine, sono di solito fonti estremamente povere di sostanze nutritive. La maggior parte contiene troppi grassi o troppo sale, oppure i nutrienti sono stati sottoposti a cottura o trattati in un qualche altro modo. Per esempio, la fiorente categoria delle merendine annovera prodotti troppo grassi, zuccherosi o salati. I biscotti e altri tipi di dolcetti sono pieni di grasso e zucchero; gli snack salati, per esempio le patatine e i triangolini di mais, contengono troppi grassi e troppo sale. La maggioranza degli alimenti in scatola sono in cima alla lista degli alimenti senza sostanze nutritive perché la cottura distrugge le vitamine e tutti gli altri nutrienti sensibili al calore. Tutti gli alimenti lavorati inoltre sono generalmente stracarichi di additivi, conservanti e altre sostanze chimiche nocive per la salute. Il gruppo degli alimenti lavorati è il peggiore dal punto di vista nutrizionale.

Ma c’è almeno un aspetto positivo negli alimenti lavorati? Solo uno: il loro buon sapore, cosa che ce ne fa mangiare sempre di più. Gli scienziati ritengono che ciò che ci fa desiderare uno snack è proprio il contenuto di grassi, zuccheri e sale. L’uomo primitivo non li desiderava, non erano sostanze nutrienti abbondanti all’alba della civiltà, quando il cibo andava cacciato o raccolto. Ma con gli anni, le nostre papille gustative e le nostre voglie si sono evolute con l’evolversi dei metodi per procacciare il cibo e della dieta.

Oggigiorno ci piacciono molto i grassi, lo zucchero e il sale, il che ci spinge a cercare alimenti che li contengono e a mangiarne in grandi quantità. Ecco perché molti di noi possono trangugiare mezzo chilogrammo di patatine fritte in una volta ma non riescono a mangiare neanche un pezzettino di broccoli crudi.

Se volete impegnarvi per raggiungere il massimo della performance, dovete esercitare la vostra forza di volontà su quello che mangiate e riabituare il vostro sistema olfattivo e gustativo ad apprezzare i profumi e sapori degli alimenti semplici e cucinati in modo semplice. State alla larga dai junk food (cibi spazzatura) e dagli alimenti lavorati. Concentratevi a mangiare solo le cose buone!

Articolo tratto da “Nutrizione dinamica per la massima performance” di Daniel Gastelu e Fred Hatfield. Pubblicato in Italia da Sandro Ciccarelli Editore.

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