7 giugno 2018

Proteina della soia e salute femminile


Gli studi hanno dimostrato che i supplementi di soia possono risultare dannosi per la salute femminile.



Secondo il prof. William Helferich, i supplementi ed i cibi a base di soia altamente purificata in vendita negli USA potrebbero stimolare la crescita di pre-esistenti tumori della mammella estrogeno-dipendenti.

"In Asia, gli alimenti di soia sono ricavati da semi di soia minimamente processati o da farina di soia sgrassata e tostata e sono quindi tutt'altra cosa rispetto ai prodotti di soia che si consumano in America. I prodotti americani contenenti isoflavoni hanno perso molti dei componenti biologicamente attivi della soia ed i prodotti parzialmente purificati (che contengono genisteina concentrata), venduti come suplementi, inducevano crescita tumorale nel nostro studio."

Quando ai topi era data farina di soia con MISTO contenuto di isoflavoni (che assomiglia di più all'alimentazione asiatica) non si riscontrava alcun incremento della crescita tumorale. Il problema sta tutto nella processazione e nell'isolamento, attuati per dar vita ad un prodotto più costoso.

Se questo non vi basta, guardate quello che succede quando si assumono integratori di soia insieme al tamoxifene, il farmaco usato nel trattamento del tumore del seno. Il dr. Helferich ha proceduto ad esaminare proprio l'isoflavone  genisteina,ed ha scoperto che la soia potenziava la crescita del cancro estrogeno-dipendente della mammella, il tipo più frequente tra le donne oltre i 50 anni. Ma la novità più allarmante è stata la scoperta che i supplementi di isoflavoni ostacolano il tamoxifene nella sua azione di blocco dell'espansione tumorale. Le concentrazioni ematiche di genisteina erano simili a quelle riscontrate in chi assume supplementi di isoflavoni. "L'auto-medicazione con integratori di soia per prevenire i sintomi della menopausa da parte di donne in cura con chemioterapici finiva per interferire con i benefici del tamoxifene."

La commercializzazione di massa di prodotti di soia raffinata, venduti alle donne come un'alternativa "naturale e sicura" alla terapia estrogenica, si tradurrà in un tasso sempre crescente di tumori al seno, a meno che le donne non comincino a domare la loro paura degli "ormoni" ed a capire che "naturale" significa 17-beta estradiolo.

Riferimenti

5 giugno 2018

L’olio di pesce può fornire protezione contro le patologie degenerative della retina



In una relazione pubblicata su Trends in Neuroscience, Nicolas G. Bazan, MD, PhD, “Boyd Professor” e direttore del Neuroscience Center of Excellence al LSU Health Sciences Center di New Orleans, riferisce del ruolo che svolgono gli acidi grassi omega-3 presenti nell’olio di pesce nella protezione delle cellule della retina contro patologie degenerative, quali la retinite pigmentosa e la degenerazione maculare senile, che è la causa principale della perdita della vista nei soggetti di più di 65 anni di età. La relazione è intitolata: “Cell survival matters: docosahexaenoic acid signaling, neuroprotection and photoreceptors” (“Questioni di sopravvivenza cellulare: segnalazione dell’acido docosaesaenoico, neuroprotezione e fotorecettori”). 

In queste patologie che portano all’ipovisione, le cellule dei fotorecettori (coni e bastoncelli) degenerano e muoiono. Anche se ad innescare questo processo possono essere molti fattori diversi, uno degli elementi di protezione più significativi è la stretta correlazione tra l’attività delle cellule dell’epitelio pigmentato retinico (RPE) e la quantità di acido docosaesaenoico (DHA) presente al loro interno. La principale funzione delle cellule RPE è il mantenimento dei fotorecettori: portano avanti il lavoro quotidiano di disseminazione, internalizzazione e degradazione dei diversi segmenti esterni dei fotorecettori. Ma adesso sembra che le cellule RPE abbiano un ruolo chiave anche per la sopravvivenza delle stesse cellule dei fotorecettori. 

Tanto le cellule dei fotorecettori, quanto quelle dell’epitelio pigmentato retinico sono costantemente esposte a fattori potenzialmente dannosi come la luce del sole ed un’alta tensione di ossigeno.
Come le cellule riescano ad evitare di subire danni da questi e altri fattori è rimasto un mistero fino ad oggi. Il gruppo del dr. Bazan al LSU Health Sciences Center, in stretta collaborazione con colleghi di Harvard, è giunto a diverse scoperte chiave che stanno iniziando a fornire risposte a questo complesso problema. Una di queste scoperte è l’importanza del DHA. Le cellule RPE fanno fronte alla luce solare ed allo stress ossidativo, nonché ai traumi, avvalendosi di antiossidanti come la vitamina E, presenti al loro interno. Parte della risposta delle cellule RPE sta nell’attivazione della sintesi di un importante composto dall’effetto neuroprotettivo, scoperto dal dr. Bazan e colleghi e chiamato neuroprotectina D1 (NPD1). La NPD1 inibisce geni che inducono l’infiammazione e la morte cellulare e che sono normalmente attivati dallo stress ossidativo e da altri fattori scatenanti. 

Le cellule RPE contengono un membro della famiglia degli acidi grassi omega-3, il DHA, che il dr. Bazan e colleghi hanno trovato essere un precursore della NPD1. Le cellule RPE regolano l’assunzione, la conservazione ed il rilascio del DHA nelle cellule dei fotorecettori. Il DHA, che è noto scarseggiare in pazienti affetti da retinite pigmentosa e sindrome di Usher, promuove una segnalazione cellulare protettiva, favorendo l’espressione delle proteine benefiche, al posto di quelle distruttive, nonché stimolando la produzione di NPD1. Il DHA e la NPD1 riducono anche la produzione di radicali liberi nocivi. Il dr. Bazan ha dimostrato che l’azione di promozione della sopravvivenza e inibizione della morte cellulare espressa dal DHA non è limitata alle sole cellule dei fotorecettori, ma si estendeva anche ai neuroni in un modello sperimentale del morbo di Alzheimer.
Rimangono molte questioni aperte, tra cui l’identificazione di un ulteriore recettore ritenuto essere un passaggio importante nel metabolismo della NPD1 e il rilevamento di ulteriori informazioni circa la segnalazione che controlla la formazione della NPD1. È da chiarire anche se la NPD1, o una sua controparte sintetica, possa essere efficace se somministrata a scopi terapeutici.  

“Poiché le prime manifestazioni cliniche della maggior parte delle degenerazioni retiniche precedono la massiccia morte cellulare all’interno dei fotorecettori, è importante stabilire gli eventi cruciali iniziali”, nota il dr. Bazan. “Questa conoscenza potrebbe essere applicata per la progettazione di nuovi interventi terapeutici volti a fermare o rallentare il progresso della malattia.”
Fonte: LSU Health Sciences Center