del Dott. Marco Neri
Da sempre, nell’immaginario di chi pratica Bodybuilding (ma a me piace più chiamarlo culturismo) l’assunzione proteica (magari
smisurata) è sinonimo di crescita muscolare garantita. Ancora oggi tutti gli
appassionati si arrovellano nel conteggiare il quantitativo proteico assunto giornalmente
sia da alimenti che da integratori, senza porsi il problema su 2 questioni
importanti.
La prima è la qualità delle proteine, cioè fino a che punto la
qualità può sopperire e fungere da booster alla quantità, la seconda è la
quantità di proteine che è possibile assimilare in un’unica assunzione.
Diversi studi hanno evidenziato come uno
spettro aminoacidico ottimale totale possa riequilibrare positivamente il
bilancio azotato frenando il catabolismo anche in presenza di ridotti apporti proteici
(< a 0,5 gr pro Kg). Questi studi sono stati fatti con apposite composizioni
di AA; d’altro canto, alti quantitativi proteici, ma provenienti da fonti di
bassa qualità e dal pool aminoacidico carente ed in competizione con i rispettivi
carrier, non riuscivano a coprire il fabbisogno plastico.
In questo contesto, escludendo elaborati pool
di Aminoacidi (integratore purtroppo mai completamente capito dagli sportivi), la fonte
privilegiata è senza dubbio il siero del latte al cui interno troviamo “la
crema della crema”, cioè le lattoglobuline. Questo significa che se il “semplice” siero del
latte è già una fonte proteica di qualità, il siero del latte isolato a base di
lattoglobuline è il massimo del “godimento” biologico legato alla capacità assimilativa
e al pool di AA essenziali disponibili e ben bilanciati. Nelle lattoglobuline
si tratta infatti di polipeptidi a corta catena, basso peso molecolare, quindi
già parzialmente digeriti e pronti per una rapida ed ottimale assimilazione
senza creare problemi di competizione nei trasportatori.
Per ciò che riguarda
la quantità di proteine per singolo pasto la bibliografia è alquanto lacunosa e
contraddittoria. Sono molti i parametri che possono influire
su questa caratteristica. Spesso viene indicato in 30/35 gr il quantitativo
proteico ben utilizzabile x singolo pasto. L’esperienza ed alcune osservazioni
scientifiche portano a pensare che proporzionalmente all’età, ai livelli
enzimatici e ormonali, all’abitudine, alle caratteristiche assimilative gastro intestinali, la possibilità di assunzione proteica possa spingersi
anche a 50/55 gr per volta.
Nei parametri menzionati alcuni sono
genetici,altri sono invece frutto di un sapiente inserimento di alcuni
nutrienti e risultano fondamentali per ottimizzare un assorbimento proteico
troppo spesso trascurato e non sufficientemente indagato per la mera abitudine
del concentrarsi sulla quantità proteica assunta.
Per meglio capire l’importanza di questa
prerogativa è giusto fare un breve escursus sul cammino digestivo-assimilativo
delle proteine. Una prima digestione avviene nello stomaco ad opera della
PEPSINA che provoca la rottura del legame peptidico. Nell’intestino tenue l’alimento
proteico, già parzialmente digerito dal succo gastrico, è ulteriormente demolito
dall’azione combinata degli enzimi del succo pancreatico e succo enterico. Contemporaneamente
la ribonucleasi e la desossiribonucleasi depolimerizzano gli acidi nucleici (RNA
e DNA) mettendo in libertà i nucleotidi corrispondenti.
Il complesso degli enzimi aminopeptidasici di
origine intestinale (lume Duodeno – Digiunale) completa l’idrolisi dei
polipeptidi (ormai ridotti a di-tripeptidi) fino ad aminoacidi. Logicamente l’assunzione
di prodotti con corta catena aminoacidica riduce già da sé una serie di questi
passaggi; la presenza di enzimi (ed in modo particolare Bromelina e papaina)
amplificano la demolizione AA ottimizzandone l’assimilazione e velocizzandone
il transito (la Bromelina ha dimostrato in vitro di riuscire ad agire su un quantitativo
proteico/aminoacidico pari a 1000 volte il suo peso).
La flora batterica presente nei tratti
intestinali deputati all’assimilazione è il supporto fondamentale per
coadiuvare l’azione enzimatica, creare l’ambiente ideale al transito peptidico
e bilanciare negative variazioni di pH potenzialmente indotte da ingenti e
ripetute elaborazioni di grossi quantitativi proteici. Il poter disporre costantemente di un’efficiente
e mirata flora batterica è senza dubbio uno dei fattori dimenticati, ma
fondamentali per garantire il massimo assorbimento proteico.
Purtroppo anche
nel campo della flora batterica si hanno potenziali situazioni di competizione
e sovrapposizione dove alcuni ceppi possono avere il sopravvento su altri, così
come la presenza di problematiche tipo l’elicobacter Pilori (la cui verifica è
un test che consiglio di fare, anche e soprattutto su urina,saliva,feci, a
tutti gli atleti ed a tutti coloro che seguono diete altamente proteiche) crea
uno scompenso gastrico-assimilativo di notevole entità con dispepsia e
disbiosi.
Selezionati ceppi di fermenti, fra questi il
Reuterii, il Salivarius, il Termophilus, il Rhamnosus contribuiscono
eccezionalmente alla funzionalità assimilativa e riequilibrio della flora
batterica. Anche altri fermenti come il Plantarium,il Biofidobacterium, lo
Sporogenes, il Bulgaricus ed il Enterococcus Faeucium sono preposti per
attenuare l’impatto gastrico di alte dosi proteiche, questo soprattutto se la
fonte è di derivazione lattea (per quanto delattosizzata in una proteina il
lattosio non può MAI essere matematicamente zero). In questo modo oltre all’accelerazione
del transito assimilativo (aiutata dagli enzimi), una proteina assume anche l’interessante
caratteristica di ridurre le sensazioni di aerofagia, gonfiore e pesantezza.
Oltre all’aspetto sportivo-funzionale non
bisogna sottovalutare l’aspetto salutistico legato all’associazione di proteine
di alta qualità con fermenti ed enzimi, infatti i fermenti appartengono alla
famiglia dei Probiotici che per definizione sono dei microrganismi vivi e
attivi che esercitano un effetto positivo sulla salute dell’ospite con il
risultato di rafforzare l’ecosistema intestinale. I veri probiotici dovrebbero
essere in grado di raggiungere l’intestino ed esercitare una azione di
equilibrio sulla microflora intestinale, mediante colonizzazione diretta.
Non a
caso il termine “probiotico” deriva dal greco: “pro-bios” e significa a favore della
vita; se per assonanza è terminologicamente simile ad “antibiotico”, si
contrappone totalmente per la sua funzione che appare diametralmente opposta.
Da
sottolineare come anche nella definizione medica di probiotico si usino i
termini vivi e attivi, infatti il problema è che mantenere vivi in condizioni
ottimali un numero utile ed efficiente di fermenti (immessi in un preparato
commerciale), non è impresa facile; questo richiede infatti ricerca,
tecnologia, selezione materie prime e, non ultimo, l’inserimento all’origine di
un numero triplo o quadruplo di fermenti rispetto a quello desiderato. Questo
per assicurarsi che anche alla data della scadenza, pure in presenza di
escursioni termiche, si possa garantire al consumatore sia il giusto livello di
milioni di fermenti/dose , ma anche la loro intatta efficienza.
Ancora una
volta subentra la differenza fra “essere e apparire”, quindi poco importa
quanti fermenti sono stati messi all’origine, ciò che conta è quanti ho la
garanzia siano ancora perfettamente attivi al momento dell’utilizzo. L’argomento
su proteine, assimilazione, quantità e qualità sarebbe ancora lungo ma avremo ancora
opportunità di trattarlo, quello che mi premeva, anche in virtù delle molte
domande che mi vengono fatte durante stage e congressi, era far capire come
possa essere inutile, per non dire dannoso e/o dispendioso, concentrarsi su
elevatissimi apporti proteici.
Articolo pubblicato su Olympian's News n° 81, pag 84 da Sandro CIccarelli Editore. Tutti i diritti riservati. Clicca qui per abbonarti!
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