22 gennaio 2013

Apporto di grassi e stati d'umore

di Jerry Brainum

Le diete ipolipidiche sono raccomandate dalla classe medica per la prevenzione delle malattie cardiovascolari e dei tumori. Dal momento che i grassi costituiscono la fonte più concentrata di energia e tendono a far sì che le persone se ne rimpinzino un po’ troppo, un apporto più basso di lipidi viene suggerito anche come un sistema valido per la perdita di peso, particolarmente se associata ad un frequente esercizio fisico.

Tuttavia, l'eccesso di zelo associato ad un ridotto apporto di grassi ha portato le popolazioni ad una diminuzione del consumo dei grassi “buoni” o essenziali, come gli omega-3 presenti nel pesce. L’assunzione di tali lipidi invece è fondamentale, perché svolge un ruolo importante nel funzionamento del cervello e di tutto il sistema nervoso che sono composti principalmente da grassi.


Alcuni studi mostrano che una dieta ipolipidica a lungo termine può essere la causa di cambiamenti deleteri a livello di umore e di funzionamento cerebrale. Per esempio, nuove ricerche sottolineano come una carenza di lunga durata di acidi grassi omega-3 sia collegata alla depressione. Questo ha senso, proprio perché il 40% del cervello è costituito da questo tipo di grassi. Altri studi collegano determinati effetti comportamentali negativi – come l’aggressività, la tensione e una maggiore incidenza di suicidi – a diete a ridotto contenuto di lipidi.

In un primo momento, questi cambiamenti negativi erano stati attribuiti ad una diminuzione del colesterolo, conseguenza di un’alimentazione ipolipidica. Il colesterolo forma una parte delle membrane cellulari neuronali e quindi si ipotizzò che la relativa carenza di colesterolo indotta dalla dieta a basso contenuto di lipidi compromettesse il funzionamento nervoso e dei neurotrasmettitori, in particolare quello delle amine (dei neurotrasmettitori), che interessano il tono dell’umore, come la serotonina. Quest’ipotesi riguardo il colesterolo venne tuttavia abbandonata non appena si scoprì che i farmaci in grado di abbassare il colesterolo non avevano particolari effetti sugli stati d’animo.

Le ricerche svolte sulle scimmie hanno evidenziato come la cosiddetta “dieta prudente”, che prevede un elevato apporto di carboidrati complessi e, di contro, un basso contenuto di lipidi, piuttosto che un’alimentazione più ricca di grassi e più povera di carboidrati, determini una maggiore incidenza di stati aggressivi tra i primati. Gli studi su soggetti umani rivelano effetti simili. Uno studio ha mostrato come le persone che la mattina consumavano un pasto a basso apporto lipidico e ad alto contenuto di carboidrati si sentissero più antagoniste, meno amichevoli, meno contente, meno interessate, oltre che meno socievoli ed estroverse tre ore dopo il pasto rispetto a chi aveva fatto un pasto a base di alimenti più ricchi di lipidi e meno di carboidrati.

Un'interessante ricerca, i cui soggetti erano 10 uomini e 10 donne tra i 20 e i 37 anni, senza patologie esistenti, o precedenti, di malattie mentali, ha confermato gli effetti negativi di un apporto ipolipidico sullo stato d’animo (1). Nel corso del primo mese i soggetti seguirono una dieta al 41% di grassi, poi metà di essi cambiò dieta, seguendone un’altra che prevedeva un apporto lipidico del 25%. L’altra metà continuò con la stessa dieta, quella più ricca di grassi. I risultati mostrarono come la tensione e l’ansia diminuirono nel gruppo per cui era prevista l’alimentazione a più alto apporto di lipidi, ma aumentarono nei soggetti che seguivano quella ipolipidica.

Per quanto riguarda i motivi per cui questi effetti negativi si manifestino solo con le diete restrittive, gli scienziati ritengono che si potrebbe chiamare in causa la colecistochinina (CCK), una sostanza secreta sia a livello di intestino che di cervello, dopo un pasto iperlipidico. La CCK influenza il senso di sazietà dopo aver mangiato e ci fa sentire tranquilli. Questa sensazione di rilassamento può essere determinata dalla secrezione di serotonina nel cervello, indotta dalla CCK.

Una domanda che non ha ancora ricevuto risposta è quale sia la causa per cui un alto apporto di carboidrati non abbia aumentato i livelli di serotonina. L’ingestione di alimenti ricchi di carboidrati stimola la produzione di insulina, che, a sua volta, spinge gran parte degli aminoacidi fuori dal sangue, per andare nei tessuti – con la singola eccezione del triptofano. Senza la competizione offerta dagli altri aminoacidi, il triptofano ha via libera nel cervello, dove viene convertito in serotonina. Ciononostante, c’è ancora bisogno di grassi, ai fini di un effetto comportamentale di tipo ottimale. Questo potrebbe essere dovuto ad una maggiore attività dei recettori di serotonina a livello cerebrale, resa possibile da un apporto lipidico più elevato.

Riferimenti bibliografici

(1) Wells, A.S., et al. (1998). Alterations in mood after changing to a lowfat diet. British Journal of Nutrition 79:23-30.


Articolo tratto da “Applied Metabolics Volume 2“, pubblicato in Italia da Sandro Ciccarelli Editore. Tutti i diritti riservati.

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